Foto escursione monte e rifugio Malinvern: la ruvida Val Stura di Demonte
Curiosando in cerca di idee m'ero imbattuto in numerose notizie sulla Valle Stura e su altre valli cuneesi.
Sono già stato alcune volte nelle valli cuneesi e mi porto dentro dei bellissimi ricordi, soprattutto di un confronto diretto con la montagna, senza tanti fronzoli.
Non so come spiegarmi... il territorio non è selvaggio o abbandonato, ci sono i segnali che ci devono essere nei posti giusti, ma non un'esagerazione di cartelli che ribadiscono la direzione da seguire. Non ci sono malghe ristoro o agriturismi, ma solo i rifugi a valle, uno solo non più d'uno a contendersi i clienti. I sentieri sono curati, ma non addomesticati con turistiche staccionate in legno e graziosi ponticelli: ci sono strade acciottolate, ma sono resti di strade militari o commerciali non create per abbellire, retaggi di quando il commercio superava le montagne e non ci passava sotto.
E' la montagna come ce la immaginiamo, fatta di silenzi, di solitudine, della precarietà d'essere alla mercé degli elementi che possono mutare e murarsi in un battito di ciglia, accoglierti o respingerti senza un motivo o spiegazione. E' la montagna fatta di nuvole, di sole e di laghi, ma non i laghi azzurri da cartolina: laghi d'acqua, che contengono le ombre e i colori delle montagna da cui sono alimentati, trasparenti sì, ma non troppo esuberanti.
E' la montagna di chi non conosce la montagna, di come se la immagina senza mai esserci stato pensandola nella comodità della vita domestica, la montagna che ti preme addosso ostile, che non ti aiuta e che ti mette in soggezione.
Ma noi la montagna la conosciamo, sappiamo di quante sfumature essa si vesta e quanto velocemente se ne sappia togliere, per questo a noi è sembrata una montagna franca e diversa dalle altre viste, per questo apprezzabile, molto apprezzabile.
La data scelta, questa volta, non è stato un centro perfetto: decisa che era ancora inverno la speranza di sole è stata scagliata lungo tutti i giorni che ci separavano e, quando sembrava che sarebbe andata ben lontano dal centro, all'ultimo, come un colpo curvo, ha colpito quasi l'obiettivo.
Non si poteva fare di meglio.
La settimana ha portato pioggia, pioggia insistente e abbondante e tutto stava naufragando nelle acque dello Stura, ma una brezza misericordiosa ha spostato altrove buona parte della perturbazione, proponendoci un compromesso: un primo giorno di pioggia leggera discontinua e una giornata di sole il giorno dopo.
Dopo un lancio da più di 200 giorni non si poteva ottenere di più viste le premesse!
L'itinerario per il Monte Malinver non si presentava semplice nella parte finale, per cui avevo selezionato il gruppo di partecipanti: oltre che essere esperti e sicuri in arrampicate medio/semplici, era necessaria una certa predisposizione a compiere un dislivello importante in un sol giorno, velocità e resistenza erano fondamentali questa volta che ci saremmo trovati così lontani da casa.
Quasi all'ultimo momento mio figlio e sua moglie s'erano aggiunti con due loro amici per trascorrere almeno un giorno con noi, per conoscere meglio il gruppo e vivere la vita del rifugio. Necessariamente abbiamo trascorso assieme la prima giornata, quella dell'arrivo e della pioggia, ma ci siamo divertiti lo stesso. Il giorno dell'arrivo è sempre il più bello, quello con il maggior entusiasmo e quindi la pioggerella non è stata spiacevole: ridicolmente ingobbiti sotto le mantelle ci siamo incamminati lungo la carrozzabile per raggiungere il rifugio Malinvern, il monte che lo sovrasta sarebbe sempre rimasto nascosto tutto il giorno.
Al rifugio aspettavano solo noi: l'altro gruppo previsto aveva rinunciato, probabilmente avevano un programma differente dal nostro, però avere tutto un rifugio a disposizione è sempre piacevole e i gestori, con i loro collaboratori, ci hanno fatto sentire a casa.
Quando piove, in montagna, se non è un temporale di cui si riesce a immaginare la sua durata, se si decide di riprendere il cammino bisogna farlo a cuor leggero: la pioggia ricomincia, quanto forte lo si viene a sapere, ma l'imput "andiamo intanto che ha smesso" fa parte di quelle frasi retoriche a cui ci si aggrappa per spingersi all'aperto, lontano dalla protezione di un tetto.
Siamo quindi saliti al lago Malinvern a poco più di un'ora, sul sentiero che il giorno dopo avremmo fatto con le pile, avendo deciso di partire molto presto, quasi con il buio: abbiamo così studiato la prima ora abbondante di sentiero.
Foto di Cristina
Eccolo qui il lago Malinvern, con tanto di acquosa nebbia.
Mio figlio Jacopo e sua moglie Arianna
Foto di Cristina
Eccoci qui tutto il gruppetto sorridente: cos'è un poco di pioggia quando si affronta una nuova avventura in compagnia?
E' solo un disturbo, si portano a casa fotografie diverse tanto il sole ritorna a splendere e le montagne attendono pazienti.
La prossima volta, perchè ci sarà sempre una prossima volta, trascorreremo più tempo assieme, saliremo una cima o un lungo giro ad anello, prenderemo il sole e faremo tante nuove fotografie fatte di sorrisi.
Abbiamo tante nuove idee da realizzare!
Partiti.
La giornata era molto dubbia, ma visto che le previsioni del tempo sono diventate sempre più affidabili (almeno a uno o due giorni di distanza), abbiamo solo guardato dove mettevamo i piedi e siamo saliti veloci. Buona parte del peso dello zaino era rimasto in rifugio, mantella compresa: certe volte bisogna essere determinati, fiduciosi e intraprendenti e questa giornata ci avrebbe abbondantemente ripagato e messo alla prova.
Saliti veloci, sì: avevo presupposto che la prima parte, quella che ci doveva portare al lago Malinvern (la parte più buia della giornata) l'avremmo percorsa lentamente, ma la torcia che avevo creava un fascio di luce così vivido che, unitamente all'esplorazione del giorno precedente, ci ha permessi di prendere il ritmo giusto e con quel ritmo siamo arrivati in cima.
Nella valle le nuvole oziavano ancora
Non avevo portato la mia reflex, ma solo al action-cam che è impermeabile, per cui non ho fatto molte foto. Devo dire che ero molto concentrato sulla giornata, concentrato anche sullo stato del mio ginocchio che mi aveva impensierito durante tutta la settimana: avevo un dolore localizzato che mi preoccupava. Nello zaino avevo i medicinali, ma il loro effetto non è mai immediato, per cui ogni passo era una verifica, il tastare il limite che non potevo superare. Sapevo di dovermi fermare prima o poi, cercavo di arrivare il più lontano possibile per poi lasciar proseguire gli altri. Se fossi stato meno determinato avrei annullato l'escursione, ma mi dispiaceva farlo perchè, credo, anche gli altri avrebbero rinunciato per cui ho deciso di soprassedere e di verificare il mio stato la prima giornata... poi verificare e prendere decisioni il giorno dopo ad ogni salita che si concludeva e di salite e ridiscese ne avevamo una davvero antipatica da fare due volte.
Giunti al Colletto di Valscura siamo arrivati con le gambe a pieno regime, io come gli altri miei compagni: davanti a noi la strada militare che con lenti ma continui tornanti scendeva verso i laghi omonimi e la Piana del Valasco che saliva dalla Valle Gesso.
Nessuno all'orizzonte, solo nuvole indecise e grigie cariche di vento freddo che ci spingevano a far pause brevi, a non perdere tempo.
Psicologicamente volevo arrivare giù ai laghi nel più breve tempo possibile, perchè dai laghi la salita sarebbe stata continua. Avevo diviso l'escursione in due momenti ben definiti: la prima parte come il sasso da togliersi dalla scarpa, la seconda la salita alla cima.
Foto di Cristina
Giunti giù al lago mi sono rasserenato, il ginocchio condivideva il mio entusiasmo e si poteva ripartire con la dovuta calma e con l'obiettivo ben davanti ai nostri occhi. Ovviamente la dovuta calma era solo un'emozione mia personale, perchè il ritmo ormai era divenuto parte di noi e mantenerlo era diventato semplice.
Il vento rinforzava e la visione di un'edificio su di un rilievo sulla nostra strada ci mise la fretta di arrivarci per rivestirci e rifocillarci al coperto dal vento.
E' stato il momento più difficile, visto a posteriori: le nuvole erano basse, grigie e bianche e il vento non accennava a fermarsi. Siamo stati... sono stato lì lì per prendere in considerazione un ripensamento, ma ero troppo determinato e i miei amici lo erano altrettanto: volevamo fortemente raggiungere la cima, attendevamo che le condizioni atmosferiche ci respingessero, ma non volevamo abbandonare in anticipo. Era il giorno che volevamo, saremmo andati avanti... almeno fino al canalino su cui dovevamo arrampicarci: se a quel punto le condizioni erano favorevoli, saremmo saliti.
Li ho molto apprezzati per la loro determinazione.
Giunti al canaletto non abbiamo avuto dubbi: secondo noi stava uscendo il sole, secondo noi aveva smesso di far freddo a causa del vento e quindi, secondo noi potevamo salire.
La roccia era aggrappante, in alcuni punti poco stabile ma le abbondanti scelte a nostra disposizione ci hanno fatto salire senza interruzioni. E' stato un gioco di aderenza, di equilibrio su cui Cristina innegabilmente era la più preparata (ha fatto foto a fiumi, come se piovesse). E' più il suo mondo, quel mondo verticale senza le sicurezze di una corda fissa come ultima scelta, un mondo che ci ammalia tutti, un mondo che quando se ne presenta l'occasione ed è reamente alla nostra portata non ci tiriamo mai indietro e lo affrontiamo con tutto il bagaglio dell'esperienza consolidata alle nostre spalle. La presenza di una persona esperta è fondamentale però.
Terminato il canaletto non ci restava che affrontare la vicina ultima salita alla cima.
Non guardo mai l'orologio quando sono in escursione: se ho al consapevolezza di aver fatto il meglio, di aver gestito bene le forze tenendo conto anche del rientro, sapere che ore sono è un dato inutile, ma avevo fortemente la sensazione che eravamo in anticipo sulla tabella di marcia, sul tempo necessario che ci avevano comunicato al rifugio. Eravamo andati forte? Forse, di certo eravamo andati continui, senza sbavature, senza inutili soste, quasi fossimo un'organismo e non quattro persone differenti.
Con tutto ciò... l'ultima salita su roccette, canaletti, ghiaioncini è stato un lampo, un sospiro ed eravamo in cima.
Foto di Cristina
Foto di Cristina
Si firma sempre il libro di vetta, se c'è posto, e quando non c'è, come in questo caso, ci si ingegna: ho sempre una mia brochure in più nello zaino e quindi abbiamo firmato tutti la nostra splendida salita e l'abbiamo depositata nel contenitore. Non lo facciamo mai, non ci è mai venuto in mente di farlo, ma quella giornata era stata speciale.
Speciale per la velocità con cui siamo saliti, almeno un ora in meno sul tempo previsto, perchè non eravamo stanchi ma in trans agonistica ormai, perchè siamo stati determinati ma non superficiali (se le condizioni fossero cambiate al canalino avremmo desistito), perchè la fatica quando sei con un gruppo di cui ti fidi non è fatica ma l'emozione di aver condiviso un momento per te speciale.
La foto ce l'ha scattata un rocciatore francese, giunto, assieme al suo compagno di cordata, poco prima di noi. Al termine della strada militare, a un colle da cui scendere in Francia per il Bas del Drous, avevamo incontrato un ragazzo francese che ci aveva correttamente indirizzato sul sentiero che tagliava il pendio e arrivava al canaletto: quel ragazzo e i due rocciatori in cima sono state le uniche persone incontrate nella mattinata.
Il vento non voleva calare, per cui siamo scesi subito dopo la foto: in fondo non erano ancora le 12:00, era presto per pranzare nonostante la fame: ci saremmo fermati sotto la cima o scesi dal canaletto o al passo con la Francia o alla caserma abbandonata...
Ci siamo fermati al lago di Valscura ben oltre la caserma abbandonata, il vento s'era fermato e il sole aveva deciso che, visto che non c'eravamo lasciati intimorire dalle nuvole minacciose, poteva anche uscirsene e allietarci la giornata.
Dopo esserci rifocillati con tutto quanto avevamo, alla fin fine siamo saliti con il massimi del peso visto che non c'è quasi mai stato tempo per mangiare, abbiamo affrontato con diverso spirito la risalita del ritorno, ma sempre con lo stesso passo: le gambe andavano per conto loro e abbiamo chiacchierato, abbiamo riso, ci siamo davvero divertiti. Il sentiero di rientro non c'era sembrato così bello ora che lo vedevamo con il sole, consci, guardando il cappello di nuvole che chiudeva la valle, del grande privilegio che avevamo avuto di vivere questa valle quasi in solitaria, con amici veri.
Bellissimo racconto
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