Racconto ferrata Minonzio

Impegni pressanti che s'allungavano all'orizzonte mi hanno visto costretto a compiere delle scelte, come se avessi il fiato sul collo: presumibilmente la mia ultima ferrata dell'anno, presumibilmente un medio stop sanitario da affrontare a breve.
Che fare?
Tra le ferrate previste dal programma stilato con grande ottimismo l'autunno scorso, erano presenti ferrate che non andavano bene: troppo facili, troppo impegnative o troppo lontane.
Avevo voglia di una ferrata non troppo addomesticata, su roccia vera... magari non troppo lontano così da potermela godere con calma senza pensare al traffico del rientro... 
Per noi lombardi esiste un'area montana nel centro della regione, vicina quindi, che poteva garantirmi tutto questo: le montagne di Lecco, lì c'era tutto quanto occorreva, bastava scegliere. 
La ferrata Minonzio sullo Zuccone Campelli l'avevo già programmata qualche anno fa, ma il maltempo mi aveva tenuto lontano e quindi avevo tutto pronto per poterla proporre al mio splendido gruppo di escursionisti... che ha risposto "Presente!", almeno tra coloro che potevano, per esperienza e tempo, accompagnarmi.
All'uscita dalla cabinovia che porta su ai Piani di Bobbio l'aria era freschetta, i primi ad essere saliti già spariti tra i mille sentieri della vasta area sciistica che diventa una vasta area escursionistica costellata dagli spogli impianti invernali, tralicci che attendono di essere riportati in vita. La mappa sul tabellone avrebbe dovuto aiutare, sembrava più un disegno che altro, ma la nostra meta non poteva che essere avanti. La segnaletica abbondava, in effetti, ma indicava destinazioni che non ci riguardavano: per fortuna la prima tappa, il rifugio Lecco, svettava su un pianoro sopraelevato e ci osservava come un ragno al centro della sua tela... una delle tante case dei Ragni di Lecco, i fortissimi rocciatori lecchesi.
Ricordo lo stesso luogo in inverno, un'escursione con le ciaspole, un gruppo numeroso a quel tempo che s'allungava dietro di me in fila indiana: ci si sente sempre come i parenti poveri quando si accede, con le ciaspole, ai territori sciistici... gravati dallo zaino mentre i colorati sciatori sfrecciano compiendo traiettorie, chiusi nei caschi e nascosti dietro le mascherine scure. Sembrano le cicale del divertimento, bruciandolo in velocità, mentre noi ciaspolatori siamo le formichine, che centellinano la giornata per non perderne neppure un'attimo.
Quel giorno eravamo gli eletti, almeno per la durata della mattinata.
La passeggiata al rifugio Lecco ci aveva messo di buonumore, io-Cristina-Barbara: stavamo affrontando la parte morbida della giornata, godendoci gli scorci che le dolci ondulazioni dei Piani ci svelavano pian piano... ma dal rifugio l'ampio anfiteatro dei Campelli, la scogliera montana, non lasciava adito a nessun dubbio: là, verso la roccia grigia e spoglia, verso gli imbuti dei canaloni che scaricavano sassi, verso le creste che si susseguivano tra un torrione e l'altro... là, alla Minonzio ci dovevamo dirigere.
Dentro di me mi ripetevo "Non sbagliare, non sbagliare" perchè la Minonzio è vicina ad un'altra ferrata, la Zucco Pesciola e non sono della stessa caratura: sbagliare voleva dire salirne una più impegnativa, che non avevo studiato. La descrizione che ricordava di seguire i "radi bolli gialli" non mi aiutava di certo... così come i canaloni ghiaiosi, meta di alcuni che avevano deviato davanti a noi.
La partenza, in tutte le attività sportive... massì, in una certa misura consideriamola un'attività sportiva anche questa... è sempre delicata: una volta presa la mira, imboccato il sentiero corretto non resta altro che... Appena arrivati proprio sotto la prima parete, la cui sommità si protendeva come all'indietro come a dirci "Calma calma, per raggiungermi non sarà nè facile nè intuitivo" estraiamo l'attrezzatura e iniziamo a indossarla: prima o poi andava fatto.
Ci superano, ma li supereremo poi quando saranno intenti a imbragarsi: in escursione, come sulle ferrate, è tutto così... ci si saluta lasciando il passo, ci si ritrova, si viene superati ancora, si supera... si condivide lo stesso itinerario, si fa gruppo comunque anche con estranei.
La ferrata è antica come le montagne che risale, antica e lecchese: catena, non cavo. Catena grossa, lasca, che ondeggia come a non volerti proprio aiutare ma solida a ricordarti che non ti tradirà, catena che ti invita a lasciarla per far da solo, per arrampicare finalmente senza il suo aiuto: se osserverai gli appigli li troverai, se saggerai l'appiglio prima di affidarcisi sarai un Ragno, per un breve istante, anche tu. Anelli al limite dello scorrimento nel moschettone, anelli entro cui lo inserisci per sbaglio invece che sulla catena, anelli che ti trattengono se ti sei ormeggiato, che s'arrotolano come la catena fa di suo, anelli che risuonano come una cremagliera mentre procedi trascinandoti la corda moschettonata. Catena, la tipica ferrata lombarda.
Si sale nelle  fessure dei Campelli, si sale leggeri per non smuovere sassi che potrebbero far male a chi segue... perchè altri sono arrivati dietro di noi. Si sale leggeri ma con fermezza, si sale in fessure così stretta da essere costretti a muoversi poco elegantemente come questa roccia meriterebbe, si sale muovendosi rapidi dove la ghiaia ha comunque conquistato un suo posto quasi in verticale, si sale entrando in contatto con questa montagna che inganna, che ruota come le maglie della catena portandoti in su, poi sballottandoti da una parte e dall'altra, facendoti arrivare a vertiginose selle da cui vedere l'oltre che si cerca quando si arrampica, per poi buttarti giù lungo altre fessure verticali, superando poi stretti cornicioni di collegamento grigi di instabili ghiaie: da qualche parte, laggiù, la ghiaia sarà pur arrivata! Da una lato, in senso orario guardando la parete, la croce di vetta, ma non è la soluzione, perchè la Minonzio non ti suggerisce mai nulla: la Minonzio la percorri, pronto a ogni sua bizzarria e finisci per amarla proprio per questo.
Ferrata antica, di vera roccia grezza, ruvida, fessurata, alcune volte instabile, per lo più onesta: il cartello posto alla fine una delusione, quel contesto quasi dolomitico non avremmo mai voluto che terminasse.
Brave le mie compagne di salita, Cristina e Barbara... come sempre.

... e poi c'è il ritorno, che per molte ferrate fine a se stesse è solo l'occasione di farsi i complimenti, di ricordare quel passaggio, di scherzarci sopra... non la Minonzio.
Due opportunità: Canalone dei Camosci o Canalone della Madonnina. 
Canaloni, no grazie.
Ci allunghiamo, scendendo, sull'altopiano lecchese fin quasi ai Piani di Arvataggio, sfioriamo il rifugio Cazzaniga-Merlini e circumnavighiamo i Campelli così li abbiamo potuti vedere nella loro maestosità e bizzarria... avremmo potuto, perchè quel giorno il sole era bizzarro come tutta la nostra escursione e non ci ha proprio assistito nel rientro ai Piani di Bobbio.
Nuvole che salivano diafane, nuvole grigie che ci consigliavano di proseguire, nuvole che svelavano e velavano... 
Il Sentiero degli Stradini, che circumnaviga in senso orario i Campelli, è stato il giusto rientro dopo la Minonzio: non breve, vario, fatto di alpeggi e poi insistentemente a ridosso delle pareti che non avevamo ancora salito, ma che saranno nel nostro futuro... quando saremo pronti.
Ferrata antica, ferrata lombarda fatta di catene: una splendida giornata su queste montagne così affascinanti che sempre ci fanno ritornare per osservarle come se non le avessimo mai viste.
Io, Cristina e Barbara... a presto Zucco Pesciola.

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