Foto escursione Dolomiti di Tessa

Il decanter è uno speciale contenitore simile ad un'ampolla in vetro o cristallo trasparente, dedito alla decantazione del vino o di altre bevande alcoliche prima della loro assunzione.

Selezionando le foto per raccontare la lunga escursione ad anello nel Parco Naturale del Grippo di Tessa, ho provato la forte sensazione che i vari strati di quei giorni si siano decantati dentro di me, stratificandosi e diventando il racconto lento e progressivo verso il punto culminante: la Johannesscharte, la Forcella Giovanni.
Scorrendole le sensazioni sono rinate forti e intense, due giorni a contatto con la natura, i suoi silenzi, le sue ombre... la luce che rincorreva le nuvole, gli alpeggi vivi, gli animali quieti: nulla di selvaggio, una quotidianità che ammiriamo con il dispiacere di esserne esclusi, il sogno di cambiar vita mostrato come semplice e possibile, quasi incomprensibile che non lo si faccia ancora.

Arriviamo presto al parcheggio, la tempistica di questo anello montano non ero riuscito a definirla con precisione e le informazioni ricevute (preferisco non dire da che fonte autorevole) non mi convincevano: in effetti abbiamo verificato che erano decisamente ottimistiche o destinate ad atleti disinteressati all'ambiente percorso.
Siamo io e Cristina, per cui viaggiamo rapidi nel bosco e quando sbuchiamo nell'alpeggio la meraviglia della valle ci rinfranca della levataccia e dei molti chilometri percorsi.
La pace di questi luoghi, il territorio così ben ordinato e custodito si leggono anche negli occhi degli animali che pascolano liberi, incuriositi da noi quanto noi da loro.








Finalmente sbuchiamo nel sole popolato da sbuffi di vapore, eteree nubi che mutano intensità di colore donando al cielo quel silenzioso chiacchiericcio, anche lui protagonista della nostra giornata dove luci e ombre camminano al nostro fianco... mutevoli.
Ammetto di conoscere poco questo angolo montano.
Vi ero stato spinto molti anni fa dall'interesse di mio padre, che purtroppo mai vide questi panorami. Ci venni in nonostante le previsioni non fossero favorevoli e la pioggia modificò il mio programma. Ci ritornai qualche anno dopo, attraversando in linea retta, e la vidi, vidi quella forcella che rimase a margine della mia coscienza in attesa.
Salendo salendo, lasciati i pascoli e le pinete, le praterie montane si dipanano sui pendii lisci, mitigando dove possibile, la ruvidezza della roccia e ben presto arriviamo in uno dei luoghi più affascinanti di questa provincia: i laghi di Sopranes.


Questo gruppo di laghi d'alta quota rifornisce di acqua gran parte di Merano e dintorni e ognuno di essi, dieci in tutto, ha la sua particolarità e colore... racchiusi in conche che invitano a proseguire, a vederli tutti.
Lentamente i pascoli tranquilli scivolano lontani dalla nostra coscienza...












Bivacco abbandonato, purtroppo.






L'itinerario s'impenna improvvisamente e le nuvole calano a coprire il cielo, il mondo diventa grigio e spigoloso, instabile e spezzato: la catena posta per sicurezza è il passaporto per salire fino al Bivacco Lammer 2707 m alla Forcella dei Laghi. 
Sulla cartina  bivacco e lago erano vicini, divisi però da centinaia di metri di dislivello: alle volte la cartina sa essere misericordiosa.











Salutata la casetta gialla, unico riparo in caso di maltempo, affrontiamo la discesa dalla forcella, entrando in un pianoro spaccato fatto di massi e pietraie. Per quanto gli "ometti di roccia", quei segnavia fatti di pietre sovrapposte a piramide, ci diano una direzione, il terreno è davvero alla rinfusa, come dopo un gigantesco sconvolgimento.
La direzione è certa. una nuova forcella da raggiungere su cui svetta... non sappiamo, forse un segnavia... di certo non un totem...
Perdiamo spesso la via più logica, unire i puntini degli ometti e dei segnali rosso-bianchi spesso è un'impresa ardua, spesso non li notiamo, spesso decidiamo autonomamente il percorso in base alle nostre capacità e sicurezze.
Avvanziamo lentamente, più lentamente di quanto avevamo previsto e osserviamo il cielo senza che esso s'accorga del nostro interesse: un rovescio di pioggia, un breve temporale o piovasco renderebbe davvero complicato procedere in sicurezza, mantenere la calma evitando di accelerare l'andatura. Ci parliamo senza guardarci, gli occhi a terra per non perdere la concentrazione.
Un altro strato si adagia  sui precedenti, il cammino d'avvicinamento prosegue...






1h10', tanto manca alla nostro obiettivo giornaliero, quel rifugio Cima Fiammante che verrà raggiunto nei tempi stabiliti e non certo nei tempi che mi avevano descritto: non abbiamo perso tempo, abbiamo fatto soste brevi, abbiamo camminato con regolarità senza strafare e ci siamo goduti... davvero goduti ogni singolo passo, ogni sguardo, ogni declivio, ogni sasso e ogni maglia di quella catena che ci ha portato su nel cielo verso un giallo porto sicuro.
Il rifugio, al termine della Val di Tell, attendeva il nostro arrivo.




La mattina sorge fresca nel cielo limpido ed è inutile indossare la giacca, sebbene il percorso sia ancora in ombra: i nostri occhi sono puntati sulla roccia dorata dal sole.
Lei è là.
Sul percorso altri si sono mossi, due comitive ci precedono, molto distanziate tra loro. Camminiamo regolarmente come sempre, la fatica del giorno prima è stata assorbita e tornante dopo tornante vediamo che ci stiamo avvicinando al primo gruppo che ci precede: non m'importa superarli per competitività sportiva, ma per collocarmi, io e Cristina, davanti a loro e lontano, come ho già calcolato, dall'inarrivabile primo gruppo... ormai prossimo a iniziare la salita alla forcella.
Nelle indicazioni ricevute e lette veniva consigliato il casco alpinistico, gli instabili sassi di cui è costituita la Johannesscharte un pericolo tangibile per chi segue... sopratutto se davanti si ha un gruppo.
Noi ne siamo privi: la stagione volgeva al termine, il numero degli escursionisti sempre più ridotto e quindi avevamo previsto che non fosse necessario e che fosse uno dei nostri soliti week-endo solitari a spasso per i monti.
I primi animali che incontriamo sono un numeroso gruppo di capre... un segnale di che tipo di sentiero stavamo per raggiungere.




Eccola là la Johannesscharte, quella piccola V ancora in ombra.
Forziamo lo sguardo per capire come verrà salita, ma riusciamo a scorgere il sentiero solo fino a quella prominenza rocciosa che fa da spartiacque tra le due ripide pareti: sappiamo che solo quando si è sulla roccia si sanno le difficoltà da affrontare.


Partiamo, il gruppo di tedeschi ci lascia andare volentieri e ci studia mentre saliamo: alcuni hanno i ramponi legati fuori dallo zaino, pronti per essere utilizzati, ma non c'è nessuna necessità. Sono prudenti o forse non si sono adeguatamente informati o forse hanno intenzione di fare qualche cima nei dintorni... ma per quanto sforzi lo sguardo, di cime pesantemente innevate non ne  vedo.


Lo spartiacque roccioso è un facile spigolo dove iniziamo a procedere con cautela: lentamente accorciamo le bacchette per compensare la sempre più accentuata salita, l'attenzione si mischia con l'emozione del luogo e del contorno di monti, rocce e silenzi.








La forcella è davvero minuscola e ci apre la vista all'altra regina della Giogaia di Tessa, quell'Altissima da cui, nel febbraio del 2014, s'era staccata una'immensa slavina che aveva tranciato a metà il rifugio Petrarca, posto sotto le sue pendici a dividere la Val Passiria dalla Val Senales.
La piana sotto di noi è un mondo ancora ruvido e iniziamo la discesa, che c'attende ben più impegnativa della salita: riponiamo le bacchette nello zaino, avremo bisogno delle mani libere. 


Come due fantasmi affrontiamo la profonda fessura della forcella senza lasciare traccia del nostro passaggio, aiutati dall'indispensabile catena stando ben attenti a non smuovere i sassi: è una discesa impegnativa, d'affrontare con la dovuta esperienza, perché non sempre è semplice trovare un sicuro appoggio per i piedi e la pronunciata discesa è consona a chi ha esperienza di vie ferrate. Ricordiamo l'inizio di una recente ferrata, quel canalone Battisti che apre alla ferrata delle Aquile: non c'è molta differenza, forse un'indicazione in più bisognerebbe fornirla a chi vuole affrontare la Johannesscharte!


Ad ogni modo noi ci troviamo a nostro agio e soddisfatti arriviamo all'innesto dell'Alta Via di Merano che sale dalla Val di Fosse fino al Passo Gelato sotto cui sorge il rifugio Petrarca in via di rifacimento.
L'Alta Via è un bel sentiero solido, da percorrere anche in mtb e rappresenta il carattere concreto di queste genti, di queste montagne. E' un lastricato di pietra locale realizzato con pazienza e amore, una via di comunicazione da cui godere del panorama ineguagliabile di queste montagne di confine oltre le quali, credo, queste genti guardino ancora con malinconia.






Al Passo Gelato 2895 m


Il nuovo rifugio Petrarca all'Altissima 2875 m


Il pomeriggio inizia il suo percorso: la giornata è stata davvero perfetta, fresca e soleggiata, popolata di nuvole innocue: mi piacciono le nuvole quando si rincorrono nell'azzurro limpido dei cieli di montagna.
Il sentiero scende velocemente, fin troppo per la stanchezza che via via intossica le gambe: è l'ultima fatica, la più dura da fare perché ci porta al parcheggio... al termine di questi due giorni emozionanti, sorprendenti e, davvero appaganti.




I ricordi della giornata stratificano, la valle torna nella sua tranquilla magnificenza.


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