Foto escursione ferrata Campalani: le Piccole Dolomiti
La bellezza non si può misurare, ma solo contemplare: non è una questione filosofica, ma solo pratica.
Per quanto Piccole, questi monti veneti che s'ergono tra tre province (Verona, Vicenza e Trento) hanno poco da invidiare alle "sorelle" più grandi: hanno crode, cenge, ghiaie verticali, reticolati infiniti di sentieri e vie ferrate le caratterizzano e proprio quest'ultime, le vie ferrate, siamo andati a cercare. Già una ne avevamo percorsa l'anno scorso, il Sentiero Attrezzato del Monte Cornetto, un piccolo Sentiero degli Alpini... anche qui i paragoni sono sempre tra chi è grande e chi è più minuto... ora siamo andati a cercare una bella parete verticale, la Ferrata Campalani che sale la regina del gruppo, il Monte Carega.
L'accesso non è semplice, sopratutto se non si arriva presto, perchè la strada tortuosa che sale fin nei pressi del rifugio Revolto (ancora chiuso, aprirà a ottobre) è molto frequentata e il piccolo parcheggio si riempie con poco: inizia quindi la caccia allo spazio più grande bordo strada dove lasciare l'auto. E' una strada che sale in mezzo al bosco, l'ombra è assicurata!
La zona è quindi monto attrattiva, il reticolato di sentieri, da percorrere a piedi o in mtb così vasta che dalla cima del Carega si possono distintamente vedere che tagliano i fianchi dei monti che l'avvolgono e sulle cui destinazioni c'è davvero molto da fantasticare!
Dopo aver lasciato l'auto nella frescura dell'intensa ombra, ci siamo diretti verso il rifugio Passo Pertica prima, Scalorbi poi e, terminata la ferrata, Fraccaroli. La giornata, già dal mattino era rovente, l'estate rimaneva avvinghiata al calendario come se temesse di non potersi mai più ripresentare e volesse scivolare nell'autunno conscia di aver utilizzato tutto il tempo disponibile: un fuoco e quel breve tratto in galleria lungo la strada militare che portava al primo rifugio ce la siamo proprio goduta.
L'unica ombra della giornata.
Dopo il rifugio Passo Pertica la strada militare prosegue con buona pendenza: dietro di noi il bivio per raggiungere le altre due ferrate (Pojesi e la più difficile Biasin, quest'ultima sulla parete a sovrastare il passo: è una ferrata storica, attendo che aggiornino le attrezzature per potermici cimentare).
Il mio gruppo non conosceva quest'angolo di monti veneti e quindi la salita lungo l'annoiante strada bianca è trascorsa senza lasciare alcun ricordo specifico, lo sguardo verso il visibile Scalorbi e la mente, ma soprattutto gli occhi, a cercar di individuare la parete su cui dovevamo salire.
Sarà quella? O quell'altra?
E tutta sta gente? Sale con noi?
Anche questi qui? Ma l'attrezzatura dove la tengono?
Giunti appena prima del rifugio deviamo, soli e rasserenati, al primo accenno di "ferrata" scritto sulla freccia di legno: sì leggiamo, leggiamo, sia il numero del sentiero che la tempistica ma, più che altro, traguardiamo con lo sguardo la direzione indicata e sveliamo, un pò anche per esclusione, quale sarà la parete.
Eccola lì la parete finalmente.
Ci prepariamo con calma, lontano, mai sotto di essa anche se può sembrare di entrar più in sintonia prepararsi a conoscerla standole vicino, vestendosi di quanto necessario a non trasformare in tragedia la giornata: lei ha le sue armi già pronte, sia la forma che l'imprevisto, noi la determinazione e il rispetto che dimostriamo indossando l'attrezzatura.
Noi la rispettiamo, non la sminuiamo sfidandola a superarci, a vincere su di noi, cosicché noi non pensiamo di vincerla ma di andarle vicino per conoscerla meglio, ma standole lontano la contempliamo, la osserviamo mentre facciamo le mosse, i gesti che sappiamo fare a memoria e più la parete è incombente più prestiamo attenzione a quello che facciamo, a come indossiamo poi l'attrezzatura. Una volta non c'era il kit da ferrata già bellechepronto: bisognava dipanare lo spezzone di corda e realizzare le nodature (al moschettone come al dissipatore). Ricordo con quanta cura avevo realizzato le nodature osservando la parete su cui alcuni stavano già salendo con difficoltà, uno in particolare scivolando anche e desistendo con rammarico. Ricordo anche che mi diedero la possibilità, per la prima volta, di essere il primo a salire della nostra comitiva: strinsi ancor di più i nodi senza staccare lo sguardo dalla parete, dal primo settore visibile... senza alzare mai gli occhi.
Questa roccia non mi piace, è incerta e in molti punti scivolosa per l'usura: in questo la trovo una piccola dolomia, una dolomia minore, che non ti aiuta sorreggendoti. Ha il colore giusto, brilla come deve, ma bisogna stare molto attenti a non far caderne pezzi su chi segue e, nelle brusche impennate, a saggiare per bene gli appigli e a non fidarsi troppo delle fessure.
E' una ferrata piacevole, che non impegna troppo e che consente di ammirare l'incanto che ci avvolge.
Giunti in cima ci leviamo tutto quanto: ora ci aspetta un'affilata cresta che cade da ambedue le parti: l'attrezzatura non serve, basta solo un buon equilibrio!
Saliamo e arriviamo a vedere il rifugio Fraccaroli che spunta a dominare un territorio roccioso: qui riconosco le Dolomiti, ne ha tutti gli ingredienti. Non ci fermeremo al rifugio, ma saliremo alla Cima Carega: non c'è un vero sentiero per salire in cima, il monte è un caos di ghiaia e roccia e qui ognuno trova il proprio percorso, seguendo il proprio istinto.
Sciamiamo assieme ad altri verso la vetta.
Il rifugio Fraccaroli e a destra il Monte Carega
La giornata è davvero calda, la strada riflette la luce amplificandola: rientriamo dopo esserci riposati a sufficienza. Avremmo avuto molti itinerari per rientrare, ma scegliamo il più frequentato perchè ci avrebbe portato alla Bocchetta Mosca, piccola insellatura che s'apre verso la zona del Pasubio. L'avevamo vista da lontano prima di deviare verso la parete e volevamo raggiungerla al ritorno.
Sotto di essa la verticale del Vaio dei Colori scendeva velocemente a valle, un percorso alpinistico su roccia instabile per esperti e appassionati dei ghiaioni incanalati tra strette pareti di roccia: una caratteristica di queste "piccole dolomiti".
???
Abbandoniamo le affascinanti ghiaie e scendiamo a valle.
Seppur sono già stato qui più volte, questa zona mi appaga sempre. E' vero, è molto frequentata per merito delle larghe strade, ovviamente militari, che fanno raggiungere i numerosi rifugi presenti nella zona... tra l'altro tutti su questo versante, ma a me piace lo stesso. Ogni volta che vengo vedo una cosa che voglio fare la volta successiva, mi incuriosisco per le strade che s'allungano chissà dove, immagino intrecci e destinazioni vicine: credo che sia questo che si deve provare quando la giornata volge al termine, il pensiero di cosa si sarebbe potuto fare, del promemoria mentale per la prossima volta.
Presto, a ottobre, il rifugio Revolto finalmente riaprirà.
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