Foto trekking Val Ridanna: vallate silenziose e alte cime di confine
Programmare un solo trekking all'anno, di media entità cioè di soli 3 giorni, comporta il dover fare delle scelte che possano emozionare i partecipanti e che rimanga nella memoria.
Francamente non è sempre facile.
C'ero già stato moti anni orsono con il gruppo in Val Ridanna, un gruppo molto diverso dall'attuale, e quindi ho voluto rendere la visita di questa valle di confine altoatesina il più completa possibile: l'impegno fisico è stato molto più intenso della prima volta e l'escursione molto più completa.
La Val Ridanna è una valle mineraria dove sono ben presenti le apparecchiature di superfice per il trasporto del materiale estratto: un museo e delle visite guidate consentono di entrare in questo mondo antico, in bianco&nero, fatto di polvere e ruggine.
Ed infatti le attrezzature esposte sono arrugginite, orgogliosamente arrugginite dall'uso e dall'esposizione agli elementi che qui, dove le alte montagne chiudono la valle, sono bizzarri, intensi e volubili.
La vallata è verdissima e silenziosa.
E' ancora presto, l'itinerario che ho scelto è lungo e comporta la salita al passo dell'Erpice con i suoi numerosi laghetti, 7 in tutto a seconda della stagione. E' un percorso che s'inoltra nella vallata mineraria e ben presto vediamo quanto resta dell'impianto a fune per il trasporto del materiale estratto sorvolare le cime degli alberi lungo il percorso didattico: per un pezzetto lo seguiamo anche noi, poi svoltiamo decisamente nella vallata, disdegnando il servizio navetta che ci avrebbe fatto risparmiare un'oretta abbondante. Al cospetto di queste montagne e della fatica che prima di noi le popolazioni avevano compiuto non abbiamo chiesto sconti alla giornata e, in solitaria, abbiamo iniziato a lasciarci coinvolgere lentamente dalla vallata.
Giunti al fondovalle abbiamo trovato la stazione ferroviaria che raccoglieva il minerale e lo trasportava a valle: poco sopra d'essa la Malga Moarer che eviteremo, salendo il vertiginoso percorso della dismessa rotaia. Non è una scalinata, il piano inclinato è davvero impressionante visto dall'alto e la fatica cresce man mano che la pendenza s'accentua, morendo sul terrazzamento finale: la soddisfazione lenisce e fa dimenticare.
Giungiamo quindi a un'altra postazione e il pannello illustrativo ci racconta quanto impegnativa, ma specializzata fosse questa vita. Nelle foto si vedono gli operai dallo sguardo serio e intenso, quasi sapessero che quell'immagine sarebbe sopravvissuta a loro stessi e avrebbe raccontato di un'epoca che, vista oggi, si potrebbe definire eroica. Per quanto appartenenti al ceto operaio sono decisamente eleganti nell'abbigliamento da lavoro, ai nostri occhi sembrano quasi vestiti a festa, dignitosi e formali: un formalismo che definisce perfettamente l'epoca e che un poco rimpiango.
Salendo al passo dell'Erpice
Saliamo e la valle sembra costituita da onde e contrafforti che ci chiudono la visuale. Il cielo continua a cambiare: dalla partenza non ha mai smesso di mutare aspetto, scatenandoci contro intense folate di vento per poi schiarirsi all'improvviso.
Questi monti antichi sopportano e noi con loro.
All'improvviso sbuchiamo in vista del nostro rifugio: una vallata si apre davanti a noi e entro di essa dobbiamo scendere per raggiungerlo dopo averla attraversata. E' un'enorme catino ghiaioso, percorso da un torrente che sgorga direttamente dal Ghiacciaio di Malavalle ai cui margini sorge la destinazione di domani, il giorno più importante del trekking.
La giornata è servita per conoscere la valle, per percorrerne la storia e le difficoltà: la strada che la navetta faticosamente sale è l'unica concessione, dopo la Malga Moarer ci si muove a piedi, zaino in spalla e tanta voglia di silenzi.
Giungiamo, dopo un'ultima salita, al rifugio Vedretta Piana, un piccolo rifugio con una storia antichissima (le foto in vetusto bianco&nero al suo interno ne sono la testimonianza). L'impatto con il rifugio è ruvido (il bagno è solo esterno, non c'è acqua calda, il dormitorio è nel sottotetto con accesso da una scala esterna) e il rifugista è burbero... ma è solo apparenza. Tutto quanto è solido, ordinato, pulito e, una volta andati via gli escursionisti di passaggio, rimaniamo solo noi: abbiamo prenotato tutti i posti disponibili, ci sentiamo a casa.
Senza la presenza di queste persone che tengono aperti rifugi accessibili solo a piedi, senza impianti sciistici vicini che portano soldi facili durante la stagione, queste montagne sarebbero inaccessibili ai pochi che le salgono: dobbiamo essere loro grati.
Il rifugista, il signor Gerhard, è discreto e scherza con noi alla sua maniera rocciosa come il piccolo spiazzo su cui sorge il rifugio: nonostante gli spazi ristretti ci fa sentire come a casa. Pranziamo soddisfatti e ci prepariamo, mentalmente, alla giornata delle grandi vette.
L'alba.
Dopo l'intensa e varia giornata trascorsa, l'alba nasce sotto un cielo cristallino, completamente privo di nuvole: la giornata, perfetta come si dimostrerà, ha la sua ouverture silenziosa.
Il rifugio è ancora all'ombra dell'alto costone su cui l'altro rifugio Vedretta, quello Pendente, osserva l'alba he già lo illumina: abbiamo fretta di iniziare la giornata, ci svegliamo tutti molto presto e lasciamo il Piana a cui ritorneremo per far pausa durante la lunga discesa del terzo giorno... ma è un pensiero che rimane ai margini, vogliamo vedere al più presto il sole e il ghiacciaio da cui il rifugio Biasi sorge a far da arbitro a chi ci si avventura.
La Val Ridanna attira lo sguardo
Strana cosa la memoria: sembra un muscolo che dimentica la fatica nel momento dell'arrivo, così i miei ricordi avevano omesso tutta la parte attrezzata fatta per salire al promontorio aguzzo su cui è adagiato il rifugio Biasi al Bicchiere. Ricordavo solo un tratto di catena, praticamente orizzontale su cui uno del gruppo di allora aveva avuto qualche piccolo problema, nulla di più.
Invece i tratti attrezzati sono diversi, ben realizzati e di aiuto più che necessari (solo qualche passaggio su roccia ancora bagnata ha reso provvidenziale l'esistenza del cavo d'acciaio). Ben altre sensazioni avremmo avuto se la giornata fosse stata piovosa, ma la giornata era perfetta, il meglio che si potesse trovare a questa quota e in questa zona dove le nuvole transitano continuamente (c'è una meravigliosa webcam clicca qui sulla parete del rifugio che inquadra valle e ghiacciaio che ho seguito continuamente per quasi due settimane per rendermi conto delle condizioni del ghiacciaio e del meteo e non ho mai trovato una giornata completamente limpida... fino a quando non ho potuto vederla con i miei occhi!).
Il Ghiacciaio di Malavalle e lo splendido laghetto di un colore così intenso e perlato da essere copiato dai costruttori d'auto per le nuove verniciature... conosco chi ha scelto questo colore per la sua.
La salita si fa sempre più accentuata e il vento ora si insinua tra noi, il passamano d'acciaio diventa un valido aiuto, l'amico fidato che non tentenna nè tradisce. E' il mondo che preferisco, fatto di pietre e pareti, di roccia scabra che brilla nella luce feroce del sole. Mi aspettavo di far fatica nel momento di sfiorare i 3000, una volta era così, ma ho un'entusiasmo cosi prepotente che salgo con fatica ma senza affanno: era qualche anno che mi baloccavo con questo progetto, ora sono finalmente dove ho desiderato d'essere e sono davvero felice.
Quanto ho dinnanzi agli occhi è accecante tanto le emozioni sono dirompenti: ho visto molte foto, ma esserci è un'altra cosa.
Sul piccolo sperone, dove la neve sembra essere una mano che s'aggrappa alla roccia per non scivolare a valle, sorge il rifugio Cima Libera. Avevo pensato di coinvolgerlo nel trekking, ma l'attraversamento del ghiacciaio comporta competenze che non ho... ma non ho ancora archiviato del tutto l'idea: forse devo solo trovare la stagione migliore per questa avventura.
L'ultimo sforzo, la parete del rifugio è già ben visibile e vicina
Ecco Cima Libera spostata a sinistra, quella piccola piramide di roccia chiara, ma prima bisogna raggiungere un'altra cima, la cima della stazione meteorologica, e sarà la parte più difficile.
La salita al Biasi per qualcuno è stata troppo faticosa: stanchezza, pensieri per il lungo ritorno del giorno dopo, preoccupazione per la discesa lungo il "corpo" nei tratti attrezzati... tutti validi motivi per fermarsi e contemplare lo spettacolo delle cime tra Italia e Austria, Breonie e Stubai che, senza una cartina alla mano, si confondono, si mischiano, materia divisa dello stesso impasto.
Io e altri invece, alleggerito lo zaino dell'inutile, saliamo... saliamo dopo aver disceso una parte del Bicchiere, perchè è bicchiere non solo dal lato visibile dalla Val Ridanna, ma in ogni suo lato... e ci dirigiamo sulla cresta rocciosa che via via si fa più insidiosa e sale verso la stazione meteorologica. Anche qui troviamo ausili metallici, ma l'impegno è rimanere sulla cresta dorsale di questo monte che emerge dalle nevi.
Dalla stazione meteorologica alla cima la cresta diventa larga e noi quasi corriamo sospinti dal vento, fino a che siamo arrivati: la quota raggiunta un dettaglio per le statistiche personali, la felicità di essere tra i giganti di quest'area il premio che ci riempie il cuore.
Ridiscendiamo quasi subito, fa freddo e il cielo si sta via via popolando di nuvole. Nella discesa prestiamo particolare attenzione in quei punti che ci hanno messo alla prova durante la salita, ma ora che li conosciamo sappiamo come superarli senza correre pericoli: è una salita alpinistica, per esperti e da non sottovalutare. Bisogna rimanere concentrati, accantonare la soddisfazione e trattenere l'adrenalina per non fare errori.
Lo sguardo però è difficile da controllare e appena lasciato libero corre a dissetarsi con questi panorami inusuali, almeno per me.
Discesa la cresta l'adrenalina gocciola via e la stanchezza improvvisamente ci assale in procinto di risalire la breve, così almeno considerata alla partenza ma non è così, "Scalinata di Sissi", l'ultimo sforzo prima di riposarsi al rifugio.
Dal 1911 il rifugio ospita la piccola cappella "Santa Maria della Neve", unica nel suo genere e la più alta d'Europa. La cappella, come il rifugio, fu costruita in onore della regina Elisabetta ed è oggi soggetta soggetta a tutela.
Rientro a valle.
La giornata è carica di nubi che salgono dal fondovalle: è sempre uno spettacolo vedere il cielo azzurro sopra e nubi bianche che chiudono la vallata nell'ombra minacciosa dell'imprevedibilità.
Siamo ancora privilegiati a stare quassù, ma il tempo incalza: abbiamo un lungo itinerario per tornare a valle e poi a casa, gli imprevisti possono solo complicarci la giornata e speriamo di non incontrarne.
Intanto guardiamo lo spettacolo della natura.
Il rifugio è tutto sveglio: chi, come noi, pronto per la discesa, altri con corde_picozze_ramponi per avventurarsi sul ghiacciaio o su qualche cima oltre esso: siamo pochissimi italiani, noi il gruppo più numeroso, ma non ci sono superstar, solo escursionisti come noi accomunati dall'esclusività di aver trascorso una splendida giornata in questo rifugio sul cocuzzolo di un monte contornato da altre alte cime. Solo a rivedere le foto mi vien voglia di ritornarci!
La discesa si fa subito divertente, la notte non ha inumidito questa roccia assetata e la ruvidità ci aiuta a procedere spediti: le nubi della notte che hanno gravato sui pensieri si sono allontanate velocemente.
La robusta colazione ci ha poi messo di buonumore.
Purtroppo il cielo azzurro lo lasciamo in cima, scesi dal Bicchiere la giornata diventa nebbiosa, ma poco importa: non è prevista pioggia (anche se in alcuni momenti le nuvole si tingono troppo di scuro mettendomi apprensione).
Man mano che scendiamo lasciamo dietro di noi le nubi che vedevamo al mattino: rimangono lì, ferme e stabili e chissà se un poco sono risalite a funestare la giornata a chi, invece, è rimasto in quota. Noi la nostra giornata perfetta l'abbiamo avuta, la nebbia è una coreografia fuori stagione che ha il suo fascino.
Il rifugio Vedretta Piana dove abbiamo fatto una sosta rigenerante consumando una pasta al sugo servita direttamente dalla padella: come a casa, senza fronzoli... semplice e concreta.
Il signor Gerhard ci ha salutati con un'affettuosa stretta di mano: abbiamo conquistato anche lui con la nostra rispettosa spensieratezza.
Senza parole 😂
Man mano che si raggiunge la vallata, incontriamo sempre più persone, la malga Aglsbodenalm attrae il turista per il suo facile accesso e per l'ampio invaso di ghiaia del rio Ferner che si divide in mille rivoli non appena raggiunge la prima pianura che incontra: è un luogo accogliente dove trascorrere le giornate.
Per noi è la porta del rientro, la strada ghiaiosa ci accompagna a valle: lasciamo le alte montagne, lasciamo il facile ghiacciaio, lasciamo il confine degli stati non della passione per la montagna che, lassù, non conosce ostacoli giuridici.
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