Foto ferrata di Montorfano: i graniti sopra Mergozzo
Un pò di autostrada, poi la tangenziale, poi l'autostrada, altra superstrada ed infine si è a Mergozzo quasi senza accorgersene. Mergozzo sorge sulle rive di uno splendido lago cristallino e trasparentissimo, in una zona, denominata Distretto Turistico dei Laghi, che ne conta molti altri attorno al principale, il Lago Maggiore.
Arrivarci è davvero semplice: le alte montagne delle valli d'Ossola incombono sulle sue acque, molte, quelle più lontane, ancora pesantemente coperte di neve... s'innalzano come le altre montagne piemontesi correndo verso l'alto dalla pianura comparendoti davanti all'improvviso. Sono come guardiani che sbarrano il passo, che circondano e proteggono e ti scrutano mettendoti soggezione dall'alto in basso. Qui l'inverno ama tornare sempre, anche in quest'anno così tiepido e asciutto: mi sembra sempre di tornare un pò indietro nel tempo quando mi avvicino alle valli ossolane, di entrare in un'epoca montana antica che non ho vissuto, più concreta, meno turistica. Le montagne s'alzano prepotentemente per lo più tondeggianti e spoglie, mostrandosi quindi per quello che sono: franche, senza fronzoli, con l'urgenza di scacciare eventuali equivoci su loro stesse, presenti nell'orizzonte ora e poi.
Silenziose e in attesa.
Ho già percorso un'altra ferrata in questa zona... sempre sulla sponda piemontese del lago Maggiore: un bellissimo granito ruvido su cui fermarsi a contemplare la bellezza tutt'attorno.
Volevo far conoscere tutto questo, vedendolo da un altro punto di vista per me e per chi era allora con me, nuovo e sorprendente per chi non c'era ancora stato.
L'immancabile Cadorna aveva costruito anche qui parte della cosiddetta Frontiera Nord, potenziando lo sbarramento in pianura lungo il Toce e considerando i Monti della Val Grande sufficienti come difesa: sul Monte Orfano, prospicente il lago di Mergozzo, edifici militari, caserme e polveriere dismesse s svuotate rimangono a testimonianza del sistema difensivo volto a contenere il "nemico".
Saliti lungo la "strada Cadorna", superata la zona delle "casermette" finalmente arriviamo a toccare il corpo granitico del Monte Orfano.
La salita sulla prima balza rocciosa è agevolata dalle numerose cambre: all'apparenza liscia la via è leggermente corrugata, rughe più o meno profonde animano la superfice del granito su cui anche il muschio fatica a trovar spazio. Saremmo potuti salire anche senza ausili artificiali, affidandoci all'aderenza, all'attrito che qui si palesa e aiuta... ma le staffe metalliche sono gradite e smorzano le preoccupazioni iniziali: la partenza è sempre un momento di svolta, perchè si passa dalla sicurezza del sentiero all'imprevedibilità del percorso aereo, del passaggio esposto, dell'aiuto artificiale che può venir meno, dell'appiglio che sfugge allo sguardo.
Il primo passo è il più difficile, poter iniziare con disinvoltura su appigli artificiali sgombra la mente.
E dopo la prima salita appare il Toce che va a mischiare le sue acque montane con quelle del Lago Maggiore
Il secondo ponte compare tra i rami
La ferrata, dopo altre placche ruvide, arriva alla panoramica sosta del "Poggiolo": foto d'obbligo, ovviamente.
A questo punto la via cambia aspetto, si trasforma e diventa, oltre che panoramica, esposta.
E' un percorso leggermente in discesa, che segue una ferita nel corpo roccioso del monte con poco ausilio di attrezzature artificiali... giusto qualche supporto qua e là che non aggiungono sicurezza, quanto comodità. Anche qui, su questa parete protesa in fuori, non temiamo di scivolare giù, i piedi sono sempre ben saldi sul terreno, il cavo ben teso ci consente di ammirare il panorama, di procedere senza timori.
Purtroppo questa parte di ferrata termina: rimanere seduti a guardare il panorama sulla placca che ho chiamato "solarium" è stato... avvincente. In genere non mi capita di fermarmi in parete: mi fermo per assicurarmi che chi mi segue non sia in difficoltà, brevi soste per foto, per aspettare gli amici per scambiarci le emozioni provate... mai per rimanere perchè dispiace andar oltre, portarla a termine, arrivare alla meta. Su quella parete sarei rimasto ancora per un altro po', ad ascoltare il mio respiro e quello del vento... sereno.
Ma altri seguivano il mio gruppo e quindi abbiamo dovuto lasciare il posto e affrontare il secondo ponte, quello più lungo.
Un passo dopo l'altro e la ferrata, giunto dall'altra parte, era terminata.
Ho letto tanta soddisfazione negli occhi di chi, via via, completava il percorso aereo: i ponti sospesi a filo sono sempre un passaggio delicato, da compiere senza affrettarsi e quindi, completati, si tira un sospiro di sollievo, ma quella volta, girandosi, la parete dietro di noi ci richiamava e quei momenti trascorsi sull'apparente poco a strapiombo era un'emozione prepotentemente da rivivere.
Alleggeriti da imbraghi e corde siamo risaliti verso la vetta del monte, dopo aver visitato, muniti di torcia, altri edifici militari... una polveriera ancora in ottimo stato e i ruderi di altri edifici.
La cima del monte era solo un cartello che indicava la direzione per altri sentieri, ma, scovato un balconcino naturale, ci siamo accomodati su una lastra inclinata e abbiamo contemplato il Distretto Laghi... non credo ci sia null'altro da aggiungere a una giornata tra amici così perfetta, se non guardando assieme a noi la meraviglia di questo angolo di Piemonte.
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