Foto Marmarole Runde
Finalmente in trekking.
Il gran giorno giunge tra le nuvole basse, il lungo trekking previsto e studiato a fondo prende il via con la salita verso il Monte Agudo, stazione di arrivo dell'impinato sciistico e ludico che domina Auronzo di Cadore. Rislendo lentamente la carrareccia, che diventa pista invernale, il pensiero alle minacciose nuvole è latente, appena fuori dalla nostra coscienza... scongiuri pronti per essere lanciati.
Non arriviamo al monte, ma ci fermiamo poco più sotto e da lassù guardiamo negli occhi le Tre Cime... le uniche e famose, le più fotografate e conosciute al mondo. Seppur non mostrino il loro lato più conosciuto, esse monopolilzzano l'orizzonte, appannando i vicini Cadini.
Dietro di noi le Marmarole.
E' bizzarro: le conosciutissime Tre Cime baciate dal sole, l'azzurro cielo a far da sfondo... le ignote Marmarole gravate dal cielo scuro, quasi a volerci dissuadere dalla scelta effettuata.
Il sentiero entra ben presto nel bosco, compiendo un largo giro che tiene ancora troppo lontano le montagne che siamo venuti a conoscere a fondo.
Lungo la salita si incontrano delle caverne di passata memoria bellica. Brevi depositi di munizioni, il cui impiantito in legno (posto per evitare che gli scarponi chiodati generassero scintille pericolose) lo si vede solo nei pannelli illustrativi, ferritoie d'osservazione orientate su montagne nemiche e cunicoli a gomito troppo brevi per comprenderne l'utilizzo.
Sono comunque tracce che mettono a disagio, incomprensibili.
Sono comunque tracce che mettono a disagio, incomprensibili.
Percorso il lungo fianco, dolce di ondulazioni,
raggiungiamo il primo dei rifugi posti su questo Runde che, onestamente, sembra
stentare a partire: le montagne in lontananza distraggono e mi rendono
difficoltoso orientarmi nello spazio geografico. Tornato a casa ho molto
apprezzato questo fianco dalle dolci ondulazioni, che ci ha permesso di
arrivare alla prima tappa non affaticati.
Rifugio Ciareido.
Finalmente arriviamo al rifugio Baion, il cielo si fa via via più azzurro e riusciamo anche a prendere un pò di sole sulle sdraio sul prato attiguo.
C'è un silenzio completo e l'attigua antica casera ci aiuta a sintonizzarci con la vita antica dei pascoli di questo versante delle Marmarole, così dolce. La vicina catena dolomitica appare come una cornice, le asperità ancora nascoste. Siamo a bassa quota, poco sopra i 1800 metri... non c'è quella maestosità prepotente di alcuni gruppi dolomitici come il Gruppo del Sella o la Marmolada: queste piccole guglie invitano a una salita pomeridiana e il piccolo diedro solitario, il Pupo di Lozzo, non riesce a rendere austero il susseguirsi di pinnacoli, tutt'altro!
Il cielo terso di prima mattina è il carburante per intraprendere la faticosa seconda tappa: destinazione il rifugio San Marco. Ne abbiamo parlato con il rifugista del Baion: si fa... sì, si fa... però!... beh... è una bella tirata... ma si fa... si fa anche... allora andate al San Marco??? Proprio fino là?
Pronti... via!
Salutiamo i fiori, i dolci declivi e la serra con i primi pomodori d'altura del Baion ancora da sbocciare e scendiamo... iniziamo la giornata con il morale alto e il sentiero in basso, verso il primo spigolo delle Marmarole.
Ben presto il gruppo montuoso ci ricorda la sua natura imprevedibile e, da buon esempio di montagna dolomitica, anche una breve ferrata dopo facili roccette: nulla di impegnativo o pericoloso... questi sentieri non sono molto frequentati e la roccia ha l'originale ruvidità su cui esercitiamo un passo sicuro, anche sui brevi appigli. La targa in legno ricorda un prestigioso passaggio, nel lontano 1988... trent'anni prima di noi: di sicuro queste montagne saranno state affollate per l'evento, oggi noi le ritroviamo nella loro dimensione più vera.
Prima di giungere alla prima sosta troviamo spunti per future escursioni, quei nomi che il rifugista del Baion aveva suggerito mentre ci raccontava del troppo silenzio che grava sulle Marmarole. Il Runde che stiamo percorrendo è un'ottima iniziativa, un bel percorso vario che può e deve attirare persone in questa parte di Cadore... ma l'Alta Via 5, la Via del Tiziano, è un'esperienza ancor più appagante ma impegnativa, non proprio per tutti.
Ho già idee mie per il futuro, ma raccolgo i suggerimenti.
Il Monte Antelao, il Re delle Dolomiti: lo dovremo raggiungere nel tardo pomeriggio, per ora è davvero molto lontano.
La discesa dal rifugio Chiggiato è decisa, senza equivoci o tentennamenti e raggiungiamo la Val d'Oten dove pensiamo di rifiatare mentre raggiungiamo la Capanna degli Alpini.
La valle è una ferita aperta di ghiaia bianca, tra le incombenti pareti delle Marmarole e l'isolato Monte Antelao... una fiumana rilucente nel sole che non verrà mai oscurato dalle nuvole ferme nel cielo... per quanto noi lo si speri disperatamente. Sono 4 km senza ombra, un'immenso greto di un torrente stagionale, solcato solo da acque di discioglimento... 200 metri di dislivello da percorrere scegliendo il terreno più compatto per non specare forze.
Partiti con il morale alto e il sentiero in basso, dopo i primi chilometri ci troviamo con il morale tra la polvere bianca e il sentiero all'orizzonte che punta in alto: facciamo previsioni su dove inizierà, previsioni di gole che si spostano avanti man mano che i chilometri scorrono nel caldo crescente.
Partiti con il morale alto e il sentiero in basso, dopo i primi chilometri ci troviamo con il morale tra la polvere bianca e il sentiero all'orizzonte che punta in alto: facciamo previsioni su dove inizierà, previsioni di gole che si spostano avanti man mano che i chilometri scorrono nel caldo crescente.
Ha il suo fascino, indubbiamente un fascino selvaggio, ma ci traghetta faticosamente da una forte discesa a un'altrettanta risalita, accaldandoci e sfiancandoci.
Arrivati all'ombra degli alberi nei pressi della Capanna, che sono stati il nostro lontano obiettivo passo dopo passo, sentiemo di aver superato la parte più impegnativa della giornata.
E' un aspetto del Cadore, uno dei tanti di questo dipinto montano che stavamo componendo.
Prima di incominciare la salita al rifugio Galassi, ci inoltriamo nel canyon da cui sgorga, dalla cascata del Pis, il rio Oten. E' una spaccatura quasi asciutta, il rio si nasconde tra grandi sassi compiendo ben più di un salto d'acqua. Ci inoltriamo, la zona meriterebbe ben più della breve visita che dedichiamo... ma lo spauracchio del temporale previsto in tarda serata è un pensiero fisso, come il forte dislivello che dobbiamo colmare.
Verso il rifugio Galassi.
Il rifugio Galassi dominato dal Monte Antelao.
Il sentiero, dopo la Forcella Piccola, corre a mezza costa, tra ghiaia e accumuli alluvionali, scavalcandoli su terreno scarsamente compatto. Ormai siamo in vista del traguardo della giornata, laggiù, dietro la catena di guglie che tanto ricordano il Catinaccio o il gruppo del Civetta. Dalla forcella appena lasciata sono comparse altre montagne conosciute, gruppi famosi che hanno contribuito a mettere in ombra le Marmarole, ma senza alcun demerito per quest'ultime.
La Natura disegna, l'occhio coglie immagini appena abbozzate.
In lontananza il Monte Pelmo, Caregon de l'Padreterno (il Trono del Padreterno) in bellunese.
Laggù a sinistra la forcella, quel piccolo tratto orizzontale, da cui siamo sbucati dopo aver lasciato il rifugio Galassi.
Alba sull'Antelao.
Il Monte Pelmo invaso dalle nuvole.
Saliamo nella fresca mattina verso Forcella Grande, il punto di massima elevazione di questo tour che sentiamo ancora nelle gambe. La serata al rifugio San Marco è stata affollata, questo lato delle Marmarole è vicino a San Vito di Cadore, sulla strada per Cortina d'Ampezzo, ma non è la vicinanza con la frequentata capitale dolomitica a renderlo conosciuto, è la vicinanza con un altro gruppo montuoso, il Sorapiss, capace di un altro genere di fascino, rispetto alle Marmarole: le tre vie ferrate che ne compongono il periplo completo.
Il gruppo del Sorapiss, maestoso e compatto, manca della dolcezza determinata dalle guglie e dai piccoli torrioni: incombe nello spazio, si fa largo tre i vicini rivendicando l'attenzione che merita: è una sfida.
Sì, siamo proprio noi tre... piccoli piccoli sotto l'imponente montagna, prima di iniziare la lunga discesa passando sotto la Torre dei Sabbioni, la Cengia del Doge e la Cascata del Doge... per finire attraversando il prezioso bosco di larici fino alla Riserva Orientata di Somadida, ormai a fondovalle.
Sì, siamo molto soddisfatti.
Sì, siamo molto soddisfatti.
Nella caverna altri tre... con gli zoccoli però!
Si pensava che l'ultima parte sarebbe stata meno complicata: lasciate le crode, i tratti attrezzati, i ghiaioni, le fiumane di ciotoli rilucenti attendevamo il bosco per riposare le gambe tra le morbidezze del tappeto di aghi di pino e di foglie caduche e invece...
Troviamo alberi spezzati da una forza che non riusciamo a immaginare, alberi sradicati e ribaltati, con le radici scoperte che ancora trattevano pietre su cui s'erano artigliati.
Non sono casi isolati: un'inimmaginabile furia aveva colpito questa gola, forse gonfiando potenza proprio per la sua conformazione. Pioggia... slavine... lampi... non riusciamo a capire chi sia stato il colpevole, quello che vediamo ci rende attoniti.
E' stato davvero un triste epilogo, vedere alberi così d'alto fusto rovesciati a terra come birilli, scelti tra vicini ancora integri... una causale selezione che ci ha complicato non poco la discesa, dovendo ritrovare il sentiero leggermente tracciato tra le foglie ammucchiate.
Non capiamo da quanto tempo ciò sia accaduto e non capiamo perchè questo bosco non sia stato già risistemato: già in altre occasioni abbiamo trovato boschi disordinati con rami spezzati lasciati a terra dove caduti, ma quello che abbiamo appena veduto va oltre il disordine.
Il tour è terminato e abbiamo mancato di poco il bus che ci avrebbe riportato ad Auronzo: Antonio fa l'autostop per andare a riprendere l'auto... Alessio fornisce assistenza a una signora anziana che, con l'auto, s'era fermata non proprio giù di strada "... perchè non mi ricordo più nulla, neppure dove ho la casa per le vacanze... a Stenico forse: c'è un castello a Stenico, vero? Sono uscita per andare a mangiare e adesso non mi ricordo più niente..." ... io spiego a due motociclisti tedeschi che, scesi dal lago di Misurina con l'intento di salire alle Tre Cime, avevano mancato la strada a pedaggio e dovevano tornare indietro.
Le Marmarole e il Sorapiss ci guardano tra le nuvole e il cielo azzurro... ed è un arrivederci.
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