Foto escursione in Grigna: ferrata CAI Mandello, dove la fatica si conclude in cima
...e l'appagamento solo dopo alcuni giorni.
Le Grigne non sono montagne facili: costellate di così tanti sentieri e ferrate che alle volte è difficile scegliere quando le si frequenta da anni. Le vie ferrate poi sono spesso molto impegnative, con quella catena lasca che non ti aiuta, ma ti spinge a cercare la via mettendo le mani sulla roccia, una roccia franca, ruvida e lavorata dagli elementi. Ci trovi piccole cenge su pareti lisce, "maniglie" sporgenti a cui aggrapparti e, quando tutto questo scarseggia, basta camminare sopra a questa stessa roccia, fidarsi e mantenersi attenti: il panorama e il momento saranno esperienze indimenticabili.
Da tempo volevo affrontare questa via ferrata impegnativa per il suo sviluppo. Molti la considerano poco importante e si dirigono altrove, su itinerari tecnicamente più impegnativi, magari più atletici e adrenalinici...alcuni fortemente addomesticati da innumerevoli pioli e scale. Mi ci sono diretto alcune volte anch'io su quelle pareti verticali quasi completamente "piolate": è stato molto eccitante, non lo nego.
La ferrata CAI Mandello al Sasso dei Carbonari è la tipica ferrata antica lecchese, una ferrata che ti fa assaporare la Grigna a tutto tondo, non te la concede con facilità ma te la devi guadagnare. Un lunghissimo accesso che ti affatica, ma con un grazioso rifugio per chi intendesse desistere o solo rifocillarsi prima del balzo finale contro la prima parete.
Noi ci siamo rifocillati.
Forcella di Prada
Un susseguirsi di saliscendi, prima e dopo il rifugio Bietti, con sopra la Grigna che andava via via ad esaurirsi in altezza: iniziavamo a chiederci quanto ci sarebbe stato poi da arrampicare se continuavamo a salire, salire, salire...
Tra sentieri esposti e invasi dai pini mughi, ecco finalmente la prima parete con la scaletta, di antica fattura, a indicarci l'inizio.
Il Sasso dei Carbonari l'avevamo praticamente salito: era il momento di imbragarci.
La via non improvvisa o cerca emozioni forzate, ma segue il percorso più logico leggendo le pareti, incuneandosi a fianco di fessure, arrotandosi su se stessa per aggirare torrioni o per portarti su splendidi ponti di cresta dove, improvvisamente, ti lascia lì senza di essa, su un ghiaino che incute rispetto. La catena abbonda, ce ne sarebbe stata anche per un ultimo tratto, per portarti oltre il piano inclinato e lasciarti sulla cresta sottile meno in affanno, ma tutto questo fa parte dell'itinerario: non solo la catena e l'arrampicata, ma anche trovare la via migliore, più adatta alle proprie esperienze, laddove, in questo regno roccioso, non ci sono più indicazioni e la ghiaia del sentiero è solo smossa da chi ti ha preceduto.
Avanti, vai avanti e segui le tracce che l'esperienza rende luminose: fai tuo il sentiero, leggilo con parole tue.
Pian piano il rifugio Brioschi si mostra, una piccola costruzione sulla cima. Le ore di cammino sono state tante, il percorso tortuoso ci ha messo a dura prova non svelandosi se non al termine, irridente: dal momento in cui il rifugio si palesa, per raggiungerlo servirà ben più di un ora, appartenendo così anche lui a quel manipolo di rifugi che sembrano spostarsi con il trascorrere della salita.
Ma quando sei in cima capisci perché ti sei alzato così presto la mattina e hai fatto tutta questa fatica: non è per il "primato" che hai aggiunto al tuo personale elenco e neppure per la nuova "tacca", ma per l'intensa giornata che hai trascorso, che ti ha scavato e lavato dentro, che ti ha riempito gli occhi di spazi ancora da scoprire e percorrere. Non è mai un punto di arrivo, ma la porta che attraversi per poterti ancora alleggerire, fino a che non rimarrà di te che una semplice, ingenua, serenità
Alla prossima escursione!
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