Foto escursione rifugio Maria Luisa
Ogni montagna ha la sua particolarità, sopratutto quando sono molto alte e aspre, quando la roccia è viva e si mostra in tutta la sua fierezza senza essere mitigata dal bosco.
Sono le montagne che preferisco, montagne sincere.
Torno in Val Formazza per la terza volta, in questa punta del Piemonte contornata dalla Svizzera, in questa terra walser dalle case austere così simili alle montagne che popolano: niente balconi altoatesini in legno che richiamano i folti boschi di larici, ma pietra e finestre minuscole per resistere ai rigori dell'inverno.
L'abitato di Riale, l'ultimo della valle, lo si raggiunge dopo aver percorso la lunga galleria a spirale di Casse, un'opera di ingegneria stradale che consente di accedere al pianoro dove il Toce compie il suo spettacolare salto nel vuoto, il più alto d'Europa.
C'è tanta magia in questo sperduto luogo, tanta magia e tanto ingegno creativo.
L'inverno in valle è una cosa seria e il pianoro di Riale è la porta per un mondo nordico che presto fa dimenticare l'autostrada e la lunga supestrada che velocemente porta oltre Domodossola, chilometri che si dimenticano mentre si osserva dal calduccio dell'auto: appena posato il piede sulla neve scricchiolante si viene calati nella sobrietà della Val Formazza.
Neve, neve come non ho mai vista... un bianco abbacinante sferzato dal vento gelido.
L'abitato non è abbandonato a se stesso: gli scuri sono aperti e i vicoletti tra le case riconquistati con difficoltà, ma riconquistati, resi nuovamente percorribili... trincee di ghiaccio alte quanto un uomo.
Siamo qui per restare, sembra vogliano dire con fierezza questi antichi walser.
Il lungo pianoro, sede di un grazioso centro fondo, è chiuso dalle improvvise elevazioni del Monte Immel 2803 m e dal Corno di Ban 3027 m: sotto di loro la diga del Morasco, uno dei laghi artificiali di questa produttiva valle.
Ci dirigiamo là.
Le giornate a disposizione non saranno caratterizzate da intense faticate, importanti dislivelli da superare, ardite vie da percorrere... ma dal fascino che gli occhi riescono a catturare, dalle montagne che si alzano sopra di noi così pesantemente imbiancate.
Si cammina leggeri, il freddo al sole diventa un ricordo, le ciaspole ai piedi mordono la neve compatta: è sabato, il vento ha più volte spazzato le piste di fondo rendendole indefinite e c'è una calma densa, intima. Ai pochi che incontriamo sorridiamo spontaneamente, tutti noi soddisfatti della scelta fatta... noi forse più di loro venendo da così lontano.
Dall'alto l'abitato di Riale si stringe sotto il rilievo su cui la chiesa si adagia sicura: è un catino naturale forse, in antichità, percorso dalle acque ormai imbrigliate dall'ingegno dell'uomo e rese utilizzabili per produrre energia elettrica entro le centrali a valle... edifici teutonici massicci, dove la bellezza di questi luoghi si trasforma in ecologica elettricità per tutti.
Giunti alla diga non siamo sorpresi di trovarla ghiacciata in superficie, ma è comunque uno strano spettacolo a cui non siamo abituati, troppo estremo per gli inverni miti a avidi di neve degli ultimi anni... anche se... anche se ricordo che già alcuni anni fa avevo organizzato lo stesso w.e., ma ero stato dissuaso dal rifugista perché c'era troppa neve e troppo instabile per raggiungerlo in completa sicurezza. Siamo sempre più carichi di entusiasmo e vorremmo salire ogni pendio, ogni forcella... calpestare quel manto di neve così lindo, scendere sul solido lago...
... ci accontentiamo di percorrerla: forse sotto di noi, alcuni metri sotto la neve, un cancelletto metallico ci avrebbe informato che l'accesso è vietato ai non autorizzati, ma poiché non lo sapevamo con certezza, abbiamo seguito le tracce già presenti, rimanendo diligentemente nel centro del percorso, i lampioni stradali alla nostra altezza.
Trascorsa così tranquillamente la mattinata, affrontiamo la lunga salita al rifugio Maria Luisa, soli 410 metri più su. Affrontiamo la carrareccia, popolandola dei ricordi della nostra prima esperienza, estiva, in Val Formazza... una delle due lunghe escursioni possibili, la più classica. Ne ricordiamo i vari aneddoti e maciniamo, maciniamo salita, una salita continua, con lunghi rettilinei battuti.
Il vento freddo spesso la fa da padrone e nell'ultimo tratto ci sferza e congela in un attimo, ricordandoci che, in un modo o nell'altro, qui c'è da soffrire un pò per raggiungere la meta prefissata.
Finalmente il rifugio, davvero quasi sommerso dalla neve perlopiù linda, tirata e ripassata in continuazione dal vento. La piana di Riale è nascosta alla vista, le montagne le uniche compagne.
Dopo un breve riposo, alleggeriti dallo zaino, proseguiamo verso un'altra diga, il lago di Toggia chiuso a monte dal passo San Giacomo, la porta della Svizzera. La mia idea era di raggiungerlo, quel pomeriggio o la mattina successiva, ma la strada era un mio ricordo, là sotto lo spesso manto di neve che scendeva in modo continuo fin dentro il lago... ovviamente ghiacciato.
Una marcata via tracciata dagli scialpinisti lo costeggiava, ma, seppur incuriosito dall'esperienza di camminare sul lago, abbiamo di comune accordo abbandonato l'idea di proseguire oltre, complice il vento del tramonto sempre più vicino che ci sospingeva verso il caldo accogliente del rifugio.
L'alba nasce svogliatamente, bucando una nuvolosità diffusa che mi aveva alquanto inquietato quando avevo spinto lo sguardo oltre il vetro chiuso della finestra, durante la notte: di aprirla semivestito neanche a parlarne!!!
La luce danza attraverso i vari strati dell'atmosfera, colorando la neve prima di rosa, poi di azzurro... prima di esplodere nel bianco accecante.
... ma prima che questo accada, un gruppo di volpi viene a saggiare il nostro umore.
Arrivano guardinghe, nonostante diverse foto di loro siano affisse all'interno del rifugio testimonino la loro presenza costante. Ci vengono illustrati i vari caratteri, chi di loro comanda e chi ubbidisce, ma sono pur sempre animali selvatici e quindi la loro apparente calma sa ben presto esplodere in uno scatto fulmineo per allontanarsi, per mettersi al sicuro.
Sono buffe però.
Svanita l'idea dello sconfinamento in Svizzera attraverso il passo San Giacomo, saliamo al lago Castel, un'altro bacino artificializzato posto sopra il lago di Toggia.
E' una diga che ho sempre fotografato, ma mai raggiunto, incuriosito dalla sua triste storia.
Costruita nei primi del '900, inizialmente in terra, crollò dopo alcuni. Fu costruita l'attuale diga, ma nel 1955 cedette, a causa delle infiltrazioni del suolo calcareo sottostante: venne demolita e i due tronconi laterali vennero modellati per consentire il passaggio naturale dell'acqua in eccesso.
Tornata ad essere lago naturale non raggiunge mai a lambire quanto rimane della vecchia diga.
E' una diga che ho sempre fotografato, ma mai raggiunto, incuriosito dalla sua triste storia.
Costruita nei primi del '900, inizialmente in terra, crollò dopo alcuni. Fu costruita l'attuale diga, ma nel 1955 cedette, a causa delle infiltrazioni del suolo calcareo sottostante: venne demolita e i due tronconi laterali vennero modellati per consentire il passaggio naturale dell'acqua in eccesso.
Tornata ad essere lago naturale non raggiunge mai a lambire quanto rimane della vecchia diga.
Fa caldo finalmente e questo angolo sotto la Punta del Castel 3128 m e il Monte Basodino 3273 m è piacevolmente ondulato... invita a passeggiare, a salire il rilievo difronte, a voler vedere ancora, ancora, ancora... mai sazi di quanto visto finora.
Tagliamo il pendio sopra il lago, nel suo interno alcuni scialpinisti lo percorrono, in ombra.
Ciaspolare sulla neve fresca è tutto quello che chiediamo a questa giornata speciale, divenuta quasi mite dopo il freddo del tardo pomeriggio. Ciaspolare e riempirci gli occhi, una giornata per nulla faticosa, un gruppo di amici affiatato... un angolo di montagne lontane divenute nostre.
Rientrando osservo chi sta risalendo e provo una punta di invidia, ma sono appagato: rientro a casa soddisfatto di ogni istante trascorso, freddo compreso.
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